giovedì 22 ottobre 2009


In occasione del “Giorno della Memoria” in ricordo e commemorazione della Shoah, il 30 gennaio 2009, l’aula magna dell’Istituto “Ala Ponzone Cimino” ha ospitato un incontro con il dott. Emanuele Colorni della Comunità Ebraica di Mantova. Il tema proposto è stato “La vicenda degli Ebrei di Mantova durante la II guerra mondiale”. L’incontro si è svolto nell’ambito del Progetto “L’identità europea”. La sala era gremita di studenti delle terze e quinte classi.
Proponiamo una sintesi degli argomenti affrontati dall’intervento del dott. Colorni.

Emanuele Colorni fa parte della piccola comunità ebraica di Mantova. Nato nel 1943, non ha vissuto i fatti riportati come testimone diretto, ma presenta la testimonianza dei racconti familiari sulla vicenda.

Nella prima parte del Novecento gli Ebrei sembrano perfettamente integrati nella società italiana; anche in campo militare, diversi ebrei sono esponenti di spicco del comando delle Forze Armate italiane; anche nella prima fase del “ventennio fascista” gli ebrei non sono discriminati: nel 1925 viene restaurata la sinagoga di Mantova, all’inaugurazione del restauro è presente lo stesso Re Vittorio Emanuele III. Il padre avvocato nel 1934, quando l’atteggiamento antisemita del nazismo divenne evidente, non si preoccupò particolarmente. Nel 1938, con l’introduzione delle Leggi razziali anche in Italia, cominciarono difficoltà sempre più consistenti, espulsione dalle scuole pubbliche degli ebrei e perdita del lavoro del padre. Ma fino al 1943 la famiglia rimase a Mantova, nella speranza che quell’incubo finisse prima o poi. Dopo l’8 settembre del ’43 la situazione minacciava di farsi insostenibile, i Colorni decisero di “prendersi una vacanza” a Modena, per avere l’occasione di lasciare Mantova, troppo a rischio di retate e deportazioni. Prima di andarsene papà Colorni nascose i libri, dei quali era un appassionato cultore, in casse che vennero nascoste nelle stalle dei contadini della zona e addirittura nei campi. La “vacanza” a Modena si protrasse a lungo, ma poi anche quella città divenne poco sicura e ormai non c’era più la possibilità di raggiungere la Svizzera che oramai aveva chiuso le frontiere, dopo aver accolto molti ebrei fino ai primi anni del conflitto. A questo punto i Colorni optarono per Roma, città abbastanza grande da permettere di rendersi difficilmente rintracciabili. Per poter giungere a Roma erano però necessari dei documenti e per non correre ulteriori rischi non c’era altra possibilità che falsificarli. Fu possibile grazie al lavoro di un tipografo, Lorenzini, che aiutò in questo modo molti ebrei che avevano bisogno di documenti falsi; i nomi fittizi erano presi da persone probabilmente decedute. Il viaggio fu compiuto su un motocarro e la sistemazione fu trovata presso una pensione isolata. Il padre ebbe la fortuna di trovare un impiego presso una biblioteca, lavoro che gli permetteva di mantenere la famiglia e di dar sfogo alle sue appassionate ricerche storiche. Inoltre era relativamente sicuro perché tutto il giorno se ne stava chiuso in biblioteca.
Non tutti ebbero la sorte favorevole dei Colorni. La famiglia che li aveva accompagnati nella “vacanza” a Modena, preferì rientrare a Mantova e, in seguito ad una soffiata, vennero tutti catturati e deportati in Austria. La stessa futura moglie di Emanuele Colorni, originaria di Venezia, sopravvisse miracolosamente: la sua famiglia non poteva prenderla con sé perché troppo piccola e avrebbe potuto rivelare la propria presenza nel pericoloso viaggio di fuga; allora venne ospitata da una suora in un paesino del Friuli, che la accudì per anni come una figlia, tanto da sollevare nel paese alcune maldicenze, poi tutto venne chiarito alla fine della guerra.

Dopo l’esposizione di questi fatti il dott. Emanuele Colorni si è sottoposto volentieri alle domande dei tanti studenti presenti, alle quali ha risposto con semplicità e sincerità.

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